Risk management

Rischio reputazionale, cos’è, come gestirlo

Nel risk management esso può essere considerato un rischio di “secondo livello”, in quanto strettamente legato ad altri fattori di rischio. Tuttavia l’immagine aziendale ha un ruolo sempre più predominante

Pubblicato il 02 Apr 2020

Luca Rubeo

Associazione italiana esperti in infrastrutture critiche

“Ci vogliono vent’anni per costruirsi una reputazione e cinque minuti per perderla. Se lo tieni a mente agirai in maniera diversa”.

Warren Buffett Berkshire e Hathaway

Il rischio reputazionale è il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine dell’azienda da parte di clienti, controparti, azionisti, investitori o autorità di vigilanza (definizione di Banca d’Italia).

Tale fenomeno può derivare dalla diffusione di notizie e luoghi comuni negativi, corrispondenti o meno al vero, aventi ad oggetto fattori interni ed esterni sulla gestione di un’impresa.

Sebbene la reputazione sia un bene immateriale, la sua lesione produce degli effetti tangibili e quantificabili soprattutto sotto il profilo economico. Infatti, incorrere in un rischio reputazionale può compromettere oltre che la credibilità sociale, in maniera talvolta irrimediabile, anche la competitività e l’affidabilità relativa ai prodotti/servizi di un’attività economica.

Le principali cause del rischio reputazionale

Nel risk management, il rischio reputazionale può essere considerato un rischio di “secondo livello”, in quanto strettamente legato ad altri fattori di rischio. Le cause da cui deriva lo sviluppo di un rischio reputazionale possono differire e rivelarsi più o meno intense a seconda del settore aziendale preso in esame e del suo grado di esposizione a determinati fattori. Le principali cause di rischio reputazionale possono essere riassunte e suddivise nelle seguenti macroaree:

– perdite finanziarie

– violazione delle norme di condotta e autoregolamentazione

– ritiro dei prodotti

– erronea gestione dei conflitti di interesse

– risorse umane

– mancata attenzione verso gli interessi dei consumatori e/o verso gli investitori

– scandali mediatici che coinvolgono il top management aziendale

– partnership con soggetti terzi che godono di pessima reputazione (testimonial, aziende, ecc…)

Quanto influisce la reputazione di un’azienda sul cliente finale

Il Reputation Institute, un osservatorio specializzato nella misurazione e gestione della reputazione aziendale, ritiene che per le aziende B2C, il rating reputazionale incida con una percentuale del 67% sulla decisione finale del consumatore. Stando allo studio condotto, le caratteristiche del prodotto in sé varrebbero dunque sempre meno e contribuirebbero in maniera residuale alla scelta d’acquisto, per circa il 33%. Dall’analisi di questo dato si può dedurre come il prodotto, che un tempo poteva ritenersi il fattore distintivo fra aziende concorrenti, stia divenendo sempre meno rilevante e come l’immagine aziendale stia assumendo un ruolo predominante.

Da tali considerazioni emerge quanto valore abbia la costruzione, la conservazione e la tutela dell’immagine per un’impresa.

Come gestire il rischio reputazionale

Sul piano della gestione del rischio reputazionale, bisogna considerare tre fasi di intervento:

– preventiva, con obiettivo la minimizzazione del rischio reputazionale

– successiva, con obiettivo la minimizzazione del danno reputazionale

– finale, con obiettivo di monitoraggio della reputazione e della crisi

Si svilupperà successivamente una breve disamina dei vari momenti di gestione del rischio reputazionale.

Fase preventiva

Come precedentemente esposto, il rischio reputazione è definibile come un rischio di “secondo livello”, dipendente da una certa sequenza di rischi “primari”, precedentemente elencati. Pertanto, investire sulla prevenzione di queste principali cause, può contribuire a mitigare o persino evitare il verificarsi di un rischio reputazionale. Altro aspetto che va considerato è che impostare la gestione del rischio reputazionale in ottica precauzionale potrebbe rivelarsi per l’azienda anche meno oneroso rispetto ad un intervento ex post. Un sistema di gestione preventiva del rischio reputazionale può comporsi di:

presidi sul rischio reputazionale

piani di intervento e piani di emergenza

Per quanto riguarda i presidi, potrebbe risultare vincente nominare un comitato composto anche da esperti esterni che possa predisporre dei sistemi di identificazione ex ante dei rischi reputazionali, delle analisi per valutare e prevedere l’impatto di tali rischi sulla realtà aziendale ed infine occuparsi della stesura di piani di intervento e di emergenza, orientando e fornendo consulenza ai vertici aziendali sugli aspetti operativi.

Fase successiva

In questa fase, la più delicata, il rischio reputazionale avrà già dispiegato i propri effetti e l’obiettivo sarà quello di incidere sulla minimizzazione del danno prodotto, con azioni mirate.

Procedere con un comitato di crisi che dispone dei poteri necessari per mettere in atto le operazioni del piano di emergenza, significa anche avere un raggio d’azione temporale immediato e dunque un vantaggio. Sì, perché il fattore temporale nella risposta al rischio reputazionale è un elemento chiave che può contribuire in maniera decisiva alla mitigazione del danno aziendale.

Bisogna considerare che non necessariamente i correttivi impiegati in precedenza in altri settori e/o per una determinata circostanza, possono rivelarsi risolutivi per il recupero dell’immagine aziendale nella specifica contingenza venutasi a creare. Di conseguenza c’è la possibilità che parte delle operazioni siano costituite da tentativi e questo può richiedere investimenti non del tutto prevedibili ex ante. Pertanto, nominare esperti con una consolidata esperienza nel settore di riferimento si rivela una scelta di importanza decisiva, anche sotto il profilo dei costi.

Fase finale

Questa fase è deputata al monitoraggio della reputazione post crisi. Si tratta di una fase in cui l’elemento centrale è la “misurazione” della reputazione dopo l’evento di crisi. Come è stato definito la reputazione non è un elemento quantificabile, ma la percezione che consumatori e stakeholder hanno nei confronti della realtà aziendale, può essere monitorata.

Fattori statistici da prendere in esame sono le indagini sul quantitativo dei reclami, il ricevimento di contestazioni legali, indicatori sulla customer satisfaction, indici di gradimento delle campagne marketing, valutazioni su prodotti e servizi e correlato aspetto innovativo, sentiment analysis sui canali di comunicazione.

Le misurazioni di questa fase si rivelano particolarmente importanti anche per predisporre una raccolta della casistica, utile ad aggiornare i piani di emergenza rendendoli più completi e adatti ad affrontare crisi successive.

Social media e reputazione aziendale

L’immediatezza temporale e la dimensione globale dei social network moltiplicano per le aziende la possibilità di incorrere nel rischio reputazionale. Per questo motivo è essenziale formare le figure che si occupano della comunicazione sui social media aziendali, allineandole fortemente alle policy interne e preparandole alla gestione di eventuali crisi.

È giusto sottolineare che nella gestione di una crisi sui social media il fattore temporale è ancora più decisivo, infatti è necessario rispondere in maniera ancora più celere rispetto alle tempistiche dei mezzi di comunicazione tradizionale (telegiornali, quotidiani ecc…) per mitigare qualsiasi danno che la reputazione potrebbe subire.

Le crisi che possono veicolare attraverso i social media possono derivare anche da elementi “primari” caratteristici di questo contesto. Fra di essi è possibile menzionare la diffusione di “fake news”, ovvero la circolazione di notizie false e non verificate dal contenuto fortemente lesivo. A fronte di uno scenario simile diviene essenziale per l’azienda fare affidamento a strumenti di debuncking, che possano smentire affermazioni non veritiere e ristabilire la veridicità delle informazioni.

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Sara Corsi
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