Compliance

Violenza e molestie sul luogo di lavoro, l’Italia ratifica la Convenzione n.190 dell’OIL

Il documento dell’Organizzazione internazionale del lavoro contiene previsioni di carattere programmatico che si limitano a imporre agli Stati membri di adottare misure attuative. I possibili scenari giuridici

Pubblicato il 20 Apr 2021

Con la legge n. 4 del 15 gennaio 2021 è stata ratificata in Italia la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 nel corso della 108ª sessione della Conferenza generale dell’OIL.

Si tratta di previsioni di carattere programmatico che si limitano a imporre agli Stati membri di programmare e adottare le adeguate misure attuative di quanto previsto nel corpo della stessa, ma si tratta comunque di un passaggio epocale sotto molteplici profili.

In primo luogo, si tratta di una ulteriore e significativa presa di coscienza del fatto che la violenza sul lavoro, al pari di quella consumatasi tra le mura domestiche, costituisce un fenomeno statisticamente preoccupante che necessita di adeguate misure di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto.

In secondo luogo, la Convenzione, attraverso l’utilizzo di concetti molto ampi di “luogo di lavoro” e di “lavoratore”, si propone di apprestare una tutela onnicomprensiva rispetto a tutte quelle condotte lesive, violente o moleste, che siano anche indirettamente connesse al mondo del lavoro.

Partendo dal contenuto della Convenzione, si procederà a valutare gli aspetti normativi potenzialmente idonei a tracciare il perimetro entro il quale si dovrà muovere il legislatore nazionale per l’attuazione della stessa tentando di prevedere le possibili conseguenze della normativa sul mondo del lavoro e sulla gestione del rischio da parte del datore di lavoro

Cosa dice la Convenzione

Presupposti

La Convenzione si presenta come una dichiarazione di intenti che, unitamente alla enunciazione dei principi generalmente applicabili al mondo del lavoro, fornisce le linee guida per il successivo intervento attuativo da parte dei Paesi membri.

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I punti di partenza della Convenzione sono:

  • il diritto di tutti gli esseri umani, senza distinzione di razza, credo religioso o sesso, di perseguire il proprio benessere materiale e il proprio sviluppo spirituale in condizioni di libertà e dignità, sicurezza economica e pari opportunità;
  • il diritto di tutti a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, ivi comprese la violenza e le molestie di genere;
  • il riconoscimento della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro quali abuso o violazione (anche potenziali) dei diritti umani, minaccia alle pari opportunità e, pertanto, inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso;
  • la necessità, da parte degli Stati membri, di promuovere un ambiente generale di tolleranza zero nei confronti della violenza e delle molestie;
  • il riconoscimento delle ripercussioni che violenza e molestie nel mondo del lavoro hanno sulla salute psicologica, fisica e sessuale, sulla dignità e sull’ambiente familiare e sociale della persona;
  • l’incompatibilità della violenza e delle molestie con lo sviluppo di imprese sostenibili;
  • il riconoscimento dell’impatto negativo di violenza e molestie sulla organizzazione del lavoro, sulla reputazione delle imprese e sulla produttività.

Alla luce delle superiori premesse, appare evidente che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro abbia optato per una impostazione che ruota intorno all’individuo (non avendo di mira la tutela del solo “lavoratore”), ma non perde occasione mettere in guardia gli operatori economici circa impatto delle molestie sulla sostenibilità dell’impresa e sulla produttività.

In altri termini, si tenta di mettere in atto una sorta di “spinta gentile” nei confronti degli imprenditori verso una politica aziendale di prevenzione e lotta a condotte violente o molestie che, sicuramente, giova al benessere dei lavoratori, ma anche alla produttività dell’impresa stessa.

convenzione

Concetti chiave e ambito di applicazione della Convenzione

Come anticipato in premessa, la convenzione ILO opera una vera e propria rielaborazione concettuale di violenza e molestie, di lavoratori e di luogo di lavoro al fine di ricomprendere, tra le maglie della tutela che mira a prestare, il maggior numero di soggetti e di situazioni possibile.

Intanto, l’endiadi “violenza e molestie” viene definita come “un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere” (Conv., art. 1, lett. a);

Sul punto, appare opportuno rilevare due aspetti fondamentali:

  1. le violenze e le molestie non richiedono necessariamente una serie di atti reiterati, ben potendo consistere in un unico episodio di natura violenta o molesta;
  2. il danno (fisico, psicologico, sessuale o economico) può essere anche solo potenziale.

A seguire, la convenzione definisce l’espressione “violenza e molestie di genere” come la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere “o che colpiscono in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali” (Conv. art. 1, lett. b).

In proposito, appare utile evidenziare il rilievo attribuito al “genere” oltre che al “sesso” che, implicitamente richiama una tutela più ampia che prescinde dalla qualificazione anagrafica e/o formale del soggetto tale da abbracciare anche la tutela (rafforzata) dei soggetti di genere non binario ovvero che non si riconoscono nel genere anagrafico e che, per tale motivo, risultano più vulnerabili.

Altrettanto significativamente, gli autori della Convenzione si premurano di includere le molestie sessuali nel novero della violenza e delle molestie di genere lasciando intendere – rectius implicitamente affermando – che tale categoria (“violenza e molestie di genere”) non si esaurisce nelle molestie sessuali come, in maniera semplicistica, si è spesso portati a pensare.

La differenza non è di poco conto atteso che si potrà parlare di violenza di genere (rispetto alla quale potrebbe essere prevista una tutela rafforzata) anche nel caso in cui le relative condotte – seppur prive di qualsivoglia connotazione sessuale – vengano poste in essere nei confronti di soggetti appartenenti a una delle “categorie” indicate (ad esempio, le donne) semplicemente per ostacolarne la realizzazione professionale e il raggiungimento di meritati traguardi lavorativi.

Come anticipato, l’estensione interpretativa operata dalla Convenzione (che dovrà trovare riscontro nella legislazione conseguente) riguarda anche il lavoratore e il luogo di lavoro.

Sul piano soggettivo, la Convenzione “protegge i lavoratori e altri soggetti nel mondo del lavoro” ivi compresi i lavoratori (indipendentemente dallo status contrattuale), le persone in formazione (ivi compresi tirocinanti e apprendisti), i lavoratori licenziati, i volontari, le persone alla ricerca di un impiego ovvero i candidati, gli individui che agiscono, anche di fatto, come datori di lavoro (art. 2, comma I).

La conseguenza importante sul piano applicativo è che la qualifica di datore di lavoro (ovvero l’esercizio di fatto delle relative prerogative) non comporta che il soggetto possa essere ritenuto immune da condotte violente e/o moleste.

In altri termini, il datore di lavoro (di diritto o di fatto), spesso additato come autore di condotte violente o molestie nei confronti dei dipendenti, può essere vittima di tali comportamenti e necessita, per tale motivo, delle medesime forme di tutela.

Una previsione siffatta – che sembra difficilmente immaginabile nel rapporto datore di lavoro/dipendente – trova giustificazione nella speculare estensione del novero dei soggetti attivi delle molestie tra i quali rientrano anche soggetti esterni al contesto lavorativo ovvero al rapporto di lavoro (fornitori, clienti, etc).

Per quanto concerne il luogo di lavoro, la Convenzione parla espressamente di violenza e molestie “nel mondo del lavoro, che si verifichino in occasione del lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro” (art. 3).

Il riferito ambito applicativo (di per sé già sufficiente a ritenere incluse tutte le condotte che abbiano il loro fondamento in un rapporto e/o semplicemente in un contatto di lavoro) viene ulteriormente esteso attraverso l’indicazione di ulteriori e specifiche circostanze spazio-temporali che – seppure distinte rispetto al luogo di lavoro fisicamente (e tradizionalmente) inteso – devono ritenersi possibili scenari di violenza e molestie sul lavoro.

Il risultato è una definizione complessiva di posto di lavoro che trascende i confini fisici del luogo di produzione e i limiti temporali della mera prestazione di lavoro attraverso la presa in considerazione di tutte quelle occasioni funzionalmente e logisticamente connesse all’attività lavorativa.

Principi fondamentali della Convenzione

In prima battuta, la Convenzione sancisce il diritto di tutti a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie.

A tal fine, impone a tutti gli Stati membri l’obbligo di rispettare, promuovere e attuare tale diritto.

Il triplice contenuto dell’obbligo richiamato (rispetto, promozione e attuazione) consente di delineare il carattere squisitamente sostanziale della Convenzione che richiede ai Membri non già un comportamento meramente passivo (di rispetto del diritto) ovvero formale (di promozione), ma un’attività pratica volta alla concreta attuazione del diritto riconosciuto.

Inoltre, i Paesi membri sono chiamati ad effettuare una vera e propria operazione culturale attraverso un approccio inclusivo, integrato e incentrato sulla prospettiva di genere per la prevenzione e l’eliminazione della violenza e delle molestie sul lavoro.

Ciascun Paese membro deve impegnarsi, altresì, ad adottare leggi, regolamenti e politiche che garantiscano il diritto alla parità e alla non discriminazione in materia di impiego e professione per le lavoratrici, i lavoratori e gli altri soggetti appartenenti ad uno o più gruppi vulnerabili o a gruppi in situazioni di vulnerabilità che risultino sproporzionatamente colpiti da violenza e molestie nel mondo del lavoro (art. 6).

A seguire, l’art. 7 della Convenzione ribadisce il carattere programmatico delle disposizioni ivi contenute attraverso l’impegno degli Stati membri ad adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, inclusi violenza e molestie di genere eventualmente attraverso l’impiego di definizioni più ampie e l’adozione di misure più stringenti.

Possibili scenari a seguito dell’attuazione della Convenzione

La rilevata natura programmatica della Convenzione (e, conseguentemente della legge di ratifica) postula, necessariamente, l’adozione dei conseguenti provvedimenti attuativi rimandando a quel momento ogni valutazione in ordine alla concreta applicazione dei principi ivi statuiti.

Tuttavia, è possibile tentare di prevedere come gli obiettivi prefissati al livello internazionale possano trovare applicazione al livello nazionale alla luce dei sistemi di prevenzione in materia di lavoro già esistenti nella nostra normativa (D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 81/2008).

Per comodità espositiva (e invertendo l’ordine cronologico dei menzionati provvedimenti legislativi), si partirà dal Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro per valutare se e in che misura la concreta attuazione della convenzione inciderà sugli adempimenti del datore di lavoro in materia.

Possibili conseguenze sul piano della salute e sicurezza sul lavoro

Partendo dalla definitiva presa di coscienza delle possibili ripercussioni di violenza e molestie sulla salute psicologica, fisica e sessuale della persona, non è revocabile in dubbio che tali condotte possano essere causative di lesioni personali sui dipendenti (in base alla definizione onnicomprensiva di cui si è detto in precedenza) e che, come tali, debbano essere prese in considerazione dal datore di lavoro in sede di valutazione rischi.

Di conseguenza, il relativo rischio dovrà essere adeguatamente valutato dal datore di lavoro tenendo conto anche dell’eventuale presenza, tra la popolazione aziendale, di soggetti appartenenti a categorie maggiormente vulnerabili (categorie protette, appartenenti a minoranze etniche) ovvero soggetti maggiormente esposti a violenze e molestie di genere.

Sotto il profilo prevenzionistico, il datore di lavoro dovrà contenere il relativo rischio attraverso percorsi di formazione e sensibilizzazione colti ad agevolare un approccio inclusivo, integrato e orientato verso la prospettiva di genere che la Convenzione individua quale chiave di volta del sistema di prevenzione e lotta alla violenza e alle molestie sul lavoro.

Possibili conseguenze sul sistema 231

Per quanto riguarda gli adempimenti richiesti dal D.Lgs. 231/2001, il rilevato (seppure potenziale) rapporto causa-effetto tra molestie e lesioni personali non consente di revocare in dubbio l’opportunità (rectius il dovere) che violenza e molestie vengano valutate in relazione ai reati presupposto di cui all’art. 25 septies del menzionato decreto.

Anche in questo caso, il carattere trasversale del rischio impone che la relativa valutazione (e le eventuali misure idonee ad eliminare o ridurre sensibilmente il rischio medesimo) venga effettuata in relazione a tutti i settori e unità produttive della struttura aziendale.

Analogamente a quanto si è detto nel paragrafo precedente, ancora una volta la prevenzione, partendo da una ferma condanna di tali comportamenti anche per mezzo del codice etico, presuppone necessariamente l’attuazione di un programma di sensibilizzazione dei dipendenti (e del personale tutto) in ordine alla gravità delle ripercussioni che violenza e molestie possono avere sulla salute psicologica, fisica e sessuale, sulla dignità e sull’ambiente familiare e sociale della persona.

Altrettanto interessante appare l’aspetto relativo alle misure previste dall’ente per garantire la segnalazione di comportamenti violenti e/o molesti (che potrebbe avvenire attraverso i normali strumenti di segnalazione già previsti nell’ambito del sistema 231) e il supporto alle vittime di tali comportamenti.

In ordine al profilo da ultimo richiamato ovvero quello riguardante le misure di sostegno delle vittime di violenza sul lavoro, non sembra peregrino ipotizzare percorsi di supporto psicologico (magari facendo ricorso a specialisti interni all’azienda) oltre che a specifiche misure che garantiscano l’allontanamento degli autori delle violenze o il trasferimento della vittima laddove ciò si renda necessario per garantire l’inserimento della stessa in un contesto produttivo maggiormente rispondente alle esigenze di tutela (avendo cura di evitare che tali misure costituiscano una punizione al contrario o che possano essere recepite come tali dal soggetto passivo della condotta).

Inoltre, la rilevata incidenza delle violenze domestiche sul mondo del lavoro e il richiamo alla necessità (“nella misura in cui ciò sia ragionevolmente fattibile”) di attenuarne l’impatto in ambito lavorativo, non escludono che le eventuali misure di sostegno psicologico possano essere estese anche alle vittime di violenza domestica ovvero di violenze non correlate all’ambiente di lavoro.

Prevenzione e contrasto alla violenza e alle molestie sul lavoro: verso una nuova forma di compliance

Le precedenti considerazioni, relative alle possibili misure di prevenzione e contrasto, hanno quale presupposto il collegamento logico (e giuridico) tra la Convenzione e la normativa 231.

Ne consegue che si tratterebbe di soluzioni ipoteticamente attuabili da parte di operatori che siano dotati di un modello organizzativo di gestione e controllo, di un codice etico e di tutti gli altri strumenti di conformità previsti dalla normativa richiamata.

Tuttavia, il carattere facoltativo degli strumenti prevenzionistici richiesti dal D.Lgs. 231/2001 renderebbe altrettanto facoltativa la predisposizione di misure di prevenzione e contrasto alla violenza e alle molestie nel mondo del lavoro.

Una siffatta soluzione striderebbe sensibilmente con la necessità di una tutela effettiva (ed efficace) su cui l’intera Convenzione è incentrata e con l’impegno concreto che si richiede ai Paesi membri in sede di adozione della normativa di attuazione.

Peraltro, l’incidenza della violenza e delle molestie sulla dignità della persona e sui “diritti umani” (ivi compreso il diritto al lavoro) di sicuro rilievo costituzionale, potrebbe esporre a profili di incostituzionalità la normativa di attuazione che si limitasse a far rientrare i relativi obblighi di prevenzione e contrasto nell’alveo della disciplina 231 escludendo analoga tutela per i lavoratori o le persone comunque coinvolte in ambienti di lavoro sforniti di un sistema 231.

Per tali motivi, non è peregrino ipotizzare (anzi, sarebbe auspicabile) la possibilità di una legge di attuazione che imponga al datore di lavoro la predisposizione di determinate misure di prevenzione e contrasto – oltre che di strumenti di supporto per le vittime – a prescindere dall’adozione di un sistema prevenzionistico ex D.Lgs. 231/2001.

Così facendo, si garantirebbe il giusto spazio alla tutela di interessi e diritti che non possono essere rimessi alla libera valutazione dell’operatore economico con conseguente creazione di un nuovo sistema di compliance obbligatoria comprensivo di misure sanzionatorie e l’introduzione di possibili strumenti premiali in termini di certificazioni di qualità, rating di legalità e, più in generale, di sostenibilità e brand reputation.

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Valerio Gherardini
avvocato
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