Normative europee

Direttiva CSR ed European Sustainability Reporting Standards: una ulteriore sfida per le imprese

Entrata in vigore il 5 gennaio 2023, la Direttiva (UE) 2022/2464 – c.d. Direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive), prevede che tutte le imprese soggette dovranno adeguarsi a requisiti legali più rigorosi per rendicontare correttamente la loro sostenibilità

Pubblicato il 20 Ott 2023

Renato Goretta

consulente GDPR - DPO - Gesta Srl Società Benefit

Irene Semplici

Gesta Srl Società Benefit

Ginevra Goretta

Gesta Srl Società Benefit

Il 5 gennaio 2023 è entrata in vigore la Direttiva (UE) 2022/2464 – c.d. Direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSR) – approvata il 10 novembre 2022 e pubblicata nella Gazzetta europea del 14 dicembre 2022. La Direttiva arriva dopo la proposta di Direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità delle imprese, presentata dalla Commissione Europea che aveva il fine di intervenire sulla Direttiva 2014/95/UE (la c.d. Non-Financial Reporting Directive) per colmare alcune deficienze in essa contenute e dopo l’iter di consultazioni e delle osservazioni del Parlamento Europeo.

Si è già detto molto e molto è stato scritto sulla Direttiva (UE) 2022/2464, ma ritengo che sia utile riepilogare in modo sistematico – dopo quasi un anno di dibattiti – gli obblighi, le previsioni e le scadenze derivanti dalla Direttiva, oltre a provare a definire gli impatti – che vanno oltre ai diretti vincoli normativi – che graveranno sulle imprese delle filiere coinvolte e a mettere ordine fra le varie norme e standard “a disposizione” delle piccole e microimprese non soggette direttamente agli obblighi che deriveranno dal recepimento.

Direttiva CSR, tempi di adozione e di applicazione

La Direttiva CSR dovrà essere recepita dagli Stati membri dell’Unione Europea entro il 6 luglio 2024. Proprio dal recepimento da parte degli Stati UE nasceranno i primi problemi. Infatti, nell’ambito della “cornice” definita dalla Direttiva CSR, avremo 27 normative nazionali differenti che complicheranno senz’altro la vita a tutte quelle imprese che hanno mercati internazionali.

Una mitigazione di tale effetto negativo deriverà dalla scelta effettuata dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) – Ente tecnico che si occupa dei principi contabili a livello internazionale – di elaborare i principi europei di informativa sulla sostenibilità (ESRS, European Sustainability Reporting Standards) tenendo come riferimento gli standard GRI (Global Reporting Iniziative).

Le regole inizieranno ad essere applicate tra il 2024 e il 2028:

  • dal 1° gennaio 2024 per le grandi imprese già soggette alla direttiva sulla dichiarazione non finanziaria, con scadenza della pubblicazione dei dati nel 2025;
  • dal 1° gennaio 2025 per le grandi imprese non ancora soggette alla direttiva sulla dichiarazione non finanziaria con scadenza nel 2026;
  • dal 1° gennaio 2026 per le PMI e le altre imprese quotate, con scadenza nel 2027 (con estensione al 2028).

La Direttiva CSR estenderà gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità – sulla base di tre criteri di cui almeno due soddisfatti per due esercizi consecutivi: stato patrimoniale; fatturato; numero dipendenti – a tutte le imprese di grandi dimensioni (stato patrimoniale => 20 mln di Euro; fatturato => 40 mln di Euro; > di 249 dipendenti), nonché a tutte le PMI (da 9 a 249 dipendenti) quotate con la sola esclusione delle microimprese (stato patrimoniale < 350 mila Euro; fatturato < 700 mila Euro < 10 dipendenti) e si applicherà anche – dal 1° gennaio 2028 – alle imprese extra-UE che fatturano oltre 150 milioni di Euro nel territorio dell’Unione oppure che controllano imprese UE con un fatturato nell’esercizio precedente maggiore di 40 mln di Euro.

Questa ridefinizione degli obblighi di rendicontazione estenderà la platea delle imprese interessate alla dichiarazione sulla loro sostenibilità dalle attuali 12mila circa alle oltre 50mila quando la Direttiva sarà a regime. In poche parole, perdonatemi la semplificazione, passeremo da 12mila filiere a 50mila filiere con un notevole, ulteriore, ampliamento delle imprese – anche piccole non quotate e micro – interessate.

direttiva CSR

Direttiva CSR e politiche della UE

La Direttiva CSR rappresenta una pietra miliare delle politiche dell’Unione Europea su questioni ambientali, sociali e di governance (ESG) con particolare attenzione ai diritti umani ponendosi all’interno delle azioni previste dal Green Deal europeo e dell’Agenzia per la finanza sostenibile con la finalità di consentire agli stakeholder (investitori, organizzazioni della società civile, istituti di credito, consumatori, decisori politici e tutte le altre parti interessate) di valutare anche i risultati non finanziari delle imprese.

Infatti, la Direttiva CSR chiede alle imprese di divulgare informazioni sul modo in cui operano e gestiscono le sfide ambientali, sociali e di governance. La Direttiva CSRD stabilisce, inoltre, le norme sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario.

Le informazioni e i principi

Le informazioni che le imprese sono tenute a comunicare e rappresentare fedelmente devono essere prospettiche, retrospettive, qualitative e quantitative riguardo ai fattori ambientali, sociali e di governance assicurando la qualità delle informazioni comunicate, in termini di comprensibilità, pertinenza, verificabilità e comparabilità anche relativamente alle loro catene del valore compresa la filiera (value chain).

In particolare, nei tre ambiti ESG (environment, social, governance), le informazioni materiali e rilevanti, la cui omissione o rappresentazione non veritiera potrebbe influenzare la valutazione degli stakeholder, che dovranno essere rendicontate e pubblicate sistematicamente dalle imprese, al fine di dimostrare la propria responsabilità nei loro confronti che riguardano i fattori ambientali sono:

  • mitigazione dei cambiamenti climatici, anche per quanto riguarda le emissioni di gas serra
  • adattamento ai cambiamenti climatici;
  • risorse idriche e marine;
  • inquinamento;
  • biodiversità e gli ecosistemi;
  • uso delle risorse e l’economia circolare;

mentre relativamente ai fattori sociali dovranno essere esaminati:

  • parità di trattamento e le pari opportunità;
  • parità di genere e la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore;
  • formazione e lo sviluppo delle competenze;
  • occupazione e l’inclusione delle persone con disabilità;
  • salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro;
  • misure contro la violenza e le molestie sul luogo di lavoro;
  • diversità;
  • salari adeguati;
  • condizioni di lavoro;
  • occupazione sicura;
  • orario di lavoro;
  • dialogo sociale;
  • libertà di associazione;
  • esistenza di comitati aziendali;
  • percentuale di lavoratori interessati dalla contrattazione collettiva;
  • diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori;
  • equilibrio tra vita professionale e vita privata;
  • rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, delle norme e dei principi democratici stabiliti nella Carta internazionale dei diritti dell’uomo e in altre convenzioni fondamentali delle Nazioni Unite in materia di diritti umani;

e relativamente ai fattori di governance dovrà essere riportato:

  • il ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa (composizione, competenze, capacità);
  • le caratteristiche principali dei sistemi interni di controllo e gestione del rischio dell’impresa;
  • la cultura d’impresa;
  • l’etica aziendale;
  • il whistleblowing
  • l’anticorruzione corruzione;
  • la trasparenza sulle attività e gli impegni dell’impresa relativi all’esercizio della sua influenza politica, comprese le attività di lobbying;
  • la gestione e la qualità dei rapporti con clienti e fornitori (anche in merito alle prassi di pagamento);
  • le comunità interessate dalle attività dell’impresa.

La Direttiva CSR introduce, ai fini della rendicontazione di sostenibilità, il principio di doppia materialità dovendosi considerare nel reporting sia gli impatti sull’impresaoutside-in – che gli impatti dell’impresainside-out –. A titolo di esempio fra i primi gli “effetti del cambiamento climatico” e le “emissioni in atmosfera” fra i secondi. E molto interessante considerare che gli impatti sull’impresa porteranno a considerare e adottare presidi che, di fatto, potranno garantire la continuità aziendale elemento sempre più considerato dalle imprese committenti e dagli istituti di credito.

La Corporate Sustainability Reporting Directive introduce quindi, obblighi di trasparenza più dettagliati sull’impatto delle imprese sull’ambiente, sugli standard sociali e di governance sulla base di criteri comuni in linea con le politiche UE con particolare attenzione gli obiettivi climatici.

Le imprese potranno ottenere, da enti terzi indipendenti, l’asseverazione del proprio report di rendicontazione di sostenibilità – equiparato a quello finanziario – per assicurare agli stakeholder che i dati forniti sono veritieri, affidabili, comparabili e disponibili digitalmente.

Direttiva CSR, gli standard

La CSRD viene declinata negli standard di rendicontazione di sostenibilità, denominati European Sustainability Reporting Standards (ESRS) redatti e proposti alla Commissione UE dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG). Gli ESRS forniscono informazioni sui requisiti di progettazione e divulgazione della rendicontazione di sostenibilità e contengono linee guida su come deve essere la rendicontazione/bilancio di sostenibilità seguendo il principio della doppia materialità.

Il 31 luglio 2023, la Commissione Europea ha adottato il Regolamento Delegato contenente gli ESRS che le imprese soggette alla Direttiva CSR saranno obbligate a utilizzare per rendicontare la propria informativa di sostenibilità.

In questo primo set di standard vengono confermate le proposte di EFRAG che prevede due standard trasversali e dieci standard tematici (5 ambientali, 4 sociali, 1 di governance).

La Commissione Europea ha garantito l’interoperabilità con gli altri standard di rendicontazione come i già citati Global Reporting Initiative (GRI) – basati principalmente sulla materialità d’impatto (inside-out) – e i nuovi standard IFRS (S1 e S2) emanati dallo International Accounting Standards Board (IASB) quindi le imprese che avessero già adottato tali standard per la loro rendicontazione sulla sostenibilità saranno pronte per l’adozione degli ESRS poiché i requisiti di divulgazione sono simili o complementari.

Conclusioni

Le motivazioni che spingono un’impresa alla rendicontazione di sostenibilità dovrebbero essere principalmente etiche rivolte, quindi, alla sostenibilità, alla transizione verde, ai diritti umani e a un corretto ed equo governo della propria azienda, a prescindere dall’obbligo o meno alla redazione di tale rendicontazione.

Certamente, tutte le imprese soggette alla Direttiva CSR – e quindi agli standard ESRS – dovranno adeguarsi a requisiti legali più rigorosi per rendicontare correttamente la loro sostenibilità.

Inoltre, anche le PMI non tenute alla rendicontazione di sostenibilità si troveranno nel breve periodo a dover fornire almeno elementi di attenzione alla sostenibilità al loro “capo filiera” – che potrebbe prevederli contrattualmente – o agli istituti di credito – che devono poter dimostrare flussi finanziari verso attività economiche sostenibili decidendo su quali imprese finanziare e su quali business investire, e quali condizioni (tassi) applicare – rispondendo a una molteplicità di questionari di auto-assessment oppure “subendo” audit disposti da una pluralità di clienti o avviando processi di implementazione di sistemi gestionali ai sensi delle linee guida ISO 26000 oppure della norma SA 8000.

Tuttavia, in presenza della Direttiva (UE) 2022/2464 e dei suoi standard di riferimento, queste scelte sono senz’altro diseconomiche e da rivalutare considerando un percorso di rendicontazione di sostenibilità che, se ben strutturato, dimensionato e bilanciato garantisce all’impresa notevoli economie, un monitoraggio continuo dei suoi impatti e la valutazione dei fattori esterni che ne potrebbero pregiudicare la continuità aziendale.

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