Analisi

Supply chain ed emergenze: il risk management al servizio della resilienza

Il lockdown legato al Covid-19 ha portato in primissimo piano i temi della fragilità delle filiere lunghe e sta chiedendo alle imprese di ripensare le proprie logiche in modo da permettere l’attuazione di modalità di gestione dei rischi di tipo data driven.

Pubblicato il 17 Giu 2020

Mauro Bellini

Tra le analisi delle conseguenze del lockdown legato al Coronavirus appare particolarmente importante quella che pone questa emergenza in diretta relazione con la fragilità delle filiere lunghe. Si tratta di una analisi dalla quale emerge che questa crisi ha messo in luce i punti di debolezza di supply chain caratterizzate da rapporti di interdipendenza molto forti  tra gli attori, o da problematiche legate a situazioni di scarsa trasparenza, o ancora dagli eccessi nell’utilizzo di logiche di global sourcing, ovvero da quella prassi che spinge molte imprese a cercare fornitori anche molto lontani per poter contare su vantaggi di prezzo. Tutto questo, in un mercato sempre più contraddistinto dal fenomeno “dance”, da intendersi come il trend altalenante di aperture e lockdown in cui ogni elemento della filiera produttiva contribuisce a portare incertezza nella catena di approvvigionamento e rischia di aumentare ulteriormente le difficoltà di valutazione dei rischi correlati a ciascuna fornitura.

Il Covid-19 ha posto di fatto un tema di relazione sempre più stretta tra organizzazione delle supply chain e politiche e azioni di risk management e ha chiamato in causa in modo sempre più intenso e rilevante gli strumenti del digitale, prima di tutto intesi come soluzioni in grado di fornire strumenti di conoscenza e di previsione.

Una bella occasione per guardare a questa prospettive è arrivata grazie al webinar “Il futuro della supply chain, tra servitization e ricerca della resilienza”. che ha permesso di comprendere la relazione tra resilienza, possibilità di sviluppo digitale delle imprese e ruolo di fenomeni come la servitizzazione.

Marco PeronaProfessore ordinario di Logistica Industriale presso l’Università degli Studi di Brescia e Direttore Scientifico del Laboratorio RISE, ha portato in questa occasione l’attenzione sui fattori che più possono contribuire al presidio del fenomeno grazie anche al contributo che arriva dai risultati di un’indagine condotta dal laboratorio RISE dell’Università di Brescia focalizzata sulla capacità delle aziende di trasformare e digitalizzare la propria supply chain e sull’entità del contributo di accelerazione dovuto alla pandemia Covid-19 (Leggi gli articoli relativi a Laboratorio Rise)

Le ricerca comprende le risposte di un numero considerevole di aziende ed è stata promossa dal Lab IBIS dell’Università di Firenze, da ASAP e da IQ Consulting. La raccolta dei dati è iniziata ai primordi del fenomeno Coronavirus all’incirca nella prima o seconda settimana di marzo, terminando poco dopo Pasqua, quando ancora non era chiaro a tutti i rispondenti la vera portata, durata e dimensione della crisi epidemiologica che poi ci ha travolto. L’obiettivo era fare il punto sull’impatto generale della crisi sulle imprese, quindi, identificare i problemi che si presentavano alle imprese e rispettivamente le soluzioni che le stesse si apprestavano a sviluppare e in quali ambiti si proponessero di intervenire.

La ricerca mette in evidenza una crescente instabilità nel contesto economico che impone di portare l’attenzione sulla fragilità delle catene di fornitura delle imprese e che di conseguenza, richiede un’accresciuta resilienza delle supply chain, una maggiore attenzione al ruolo dei servizi. Inoltre appare sempre più importante mettere al centro dell’innovazione sulla supply chain l’esigenza di migliorare e incrementare la valorizzazione dei dati e di digitalizzazione dei processi secondo la logica “data driven”. L’impatto sulle attività operative delle imprese, la capacità, la propensione nel gestire i rischi e di prepararsi prima che il rischio si manifesti, e successivamente, la rilevanza del service business rispetto al product business.

L’impatto sulle aziende della crisi Covid-19?

L’impatto è evidente in tutti gli aspetti chiave del processo primario della catena di fornitura fino alla rete distributiva. Tutti questi passaggi sono toccati dalla crisi. Anche se il campione dei rispondenti è polarizzato verso aziende medio-grandi, quasi nessuna di queste possiede un manager dedicato a esaminare, misurare e prendere contromisure rispetto ai rischi aziendali. Non c’è ancora una visione organica dei rischi aziendali. E nessuna azienda possiede una vera capacità di analizzare l’entità degli eventi dannosi, di valutare con precisione le probabilità di accadimento o la magnitudo dei danni, manca la capacità di proporre una mappa strutturata dei rischi in cui si identificano. Più spesso si valuta l’effetto e si stabiliscono classi di rischio. Da questo profilo verso il rischio discende l’atteggiamento tipico delle aziende che è quello di reagire all’esplosione della crisi, di inseguire più che anticipare l’emergenza.

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La vendita di servizi è meno impattata dalla pandemia

Con Nicola Saccani, Associate Professor presso l’Università di Brescia, Laboratorio RISE si osserva l’impatto che le aziende prevedono o hanno già iniziato a sperimentare riguardo la vendita di prodotti rispetto alla vendita di servizi come manutenzione, supporto di vario tipo. La differenza che esce da questa analisi è molto significativa. Guardando a quante aziende prevedono un impatto negativo sulle vendite, i dati dicono che la vendita di servizi è meno impattata dalla pandemia.

Evidenza rafforzata dal fatto che nel caso dei servizi base, di installazione, commissioning, manutenzione, supporto reattivo e sul campo, l’impatto previsto è significativamente negativo, ma comunque inferiore rispetto alle previsioni sulla vendita dei prodotti.

Se ci spostiamo verso ricavi di modelli alternativi che non portano alla vendita in ottica tradizionale di transazione del bene fisico, ma modelli servitizzati come il pay per use, l’impatto è moderato.

La negatività cala ancor di più quando si parla di servizi avanzati come la manutenzione predittiva, il monitoraggio da remoto, servizi che ottimizzano il funzionamento e i consumi del prodotto, servizi di consulenza per ottimizzare la produttività del bene. Muoversi dai prodotti ai servizi dà una situazione più resiliente alla crisi in particolare se si tratta di modelli di business servitizzati.

“È importante ricordare che, sebbene la service supply chain sia meno esposta alle difficoltà dell’emergenza Covid, non ne è immune. Si prevedono, infatti, impatti molto elevati a causa del ricorso allo smart working (74%), alle restrizioni sulle trasferte (87%), che creano difficoltà a rispettare i livelli di servizio contrattuali con alcuni clienti”, osserva Alessandro De Felice, Presidente ANRA.

“Abbiamo chiesto alle aziende se avessero attivi progetti di digitalizzazione in particolare relativamente alla supply chain o agli stabilimenti – aggiunge Saccani -. Il quadro che è uscito è molto articolato. I progetti più attivi riguardano: controllo da remoto dei prodotti, progetti che migliorano l’utilizzo dei dati, sistemi di ticketing ecc. Ancora poco battute le tecnologie Blockchain e stampa 3D. Il processo di digitalizzazione viene accelerato dalla pandemia, come dimostra una significativa percentuale che puntano a migliorare la raccolta e l’utilizzo dei dati anche per sviluppare soluzioni dedicate alla remotizzazione. Soluzione che permettono, in definitiva sono alla ricerca di soluzioni che consentono di superare le barriere fisiche e di accesso ai sistemi che il lockdown ha posto come priorità per tante imprese e organizzazioni.

Un ripensamento delle supply chain all’insegna del risk management

Da questo quadro emergono alcune azioni per la riprogettazione della supply chain. Per affrontare al meglio il post – emergenza e la nuova normalità si renderà necessaria una revisione non solo degli attuali modelli di business, ma un intervento sulla catena di fornitura stessa. A questo proposito Nicola Saccani sottolinea che si è assistito a un arricchimento della componente di servizio nell’offerta delle aziende del manifatturiero e di distribuzione dei prodotti, proprio per la ragione che vede i servizi più resilienti rispetto ai prodotti. Si parte dai servizi più tradizionali legati alla vendita dei prodotti, come l’installazione, la vendita di parti di ricambio, la manutenzione reattiva, per poi procedere verso servizi di fascia intermedia e più avanzati che guardano al supporto al cliente, al miglioramento delle prestazioni della soluzione sul campo, alla manutenzione predittiva, al monitoraggio da remoto. Inoltre, le aziende si possono spostare dall’offerta di servizi relativamente ai propri prodotti alla scelta di offrire servizi che insistono su prodotti che il cliente possiede, ma che sono venduti dalla concorrenza. Una scelta di posizionamento che permette di acquisire quote di mercato sulle attività anche rispetto ai competitor. In particolare poi grazie alla raccolta strutturata di dati sul cliente, si possono sviluppare servizi che si staccano dalla componente fisica del prodotto verso l’utilizzo di questi dati. Si tratta cioè di muoversi verso la servitization, dalla vendita di un prodotto alla vendita di un servizio sulla base delle esigenze del cliente.

Un secondo messaggio molto importante che arriva da questa esperienza riguarda i temi di economia circolare e della sostenibilità ambientale. Anche in situazioni di emergenza come quella attuale, gli investimenti e gli stimoli fiscali di tipo green da parte dei governi nel lungo periodo creano più posti di lavoro e ritorni più elevati. Per poter cogliere queste opportunità è però necessario spostare l’attenzione da una preoccupazione che guarda solo al presente per avere una prospettiva orientata al futuro e agire su tutta una serie di leve (modelli di business circolare, efficienza energetica, valorizzazione ambientale) che contribuiscono da un lato a generare un’opportunità di business per le aziende e dall’altro a costruire filiere più resilienti e ad allontanare rischi in questo caso climatici.

Obiettivo: supply chain più resilienti

Un terzo punto chiave per affrontare le tematiche legate ai fattori di rischio connessi alle emergenze è quello di costruire supply chain nativamente pensate per essere resilienti. La resilienza è un concetto consolidato nell’ambito dell’ingegneria meccanica come proprietà dei materiali e in particolare in termini di assorbimento di energia nel corso di una deformazione e prima di una eventuale rottura. In qualche modo la resilienza rappresenta una proprietà del materiale di deformarsi e di ritornare in posizione o mantenere la nuova forma senza spezzarsi. Nel mondo della finanza c’è il concetto dell’antifragilità. Nella biologia anche il concetto di evoluzione è assimilabile perché rappresenta la capacità di una specie di modificarsi per adattarsi all’ambiente e rimanere competitiva. E’ importante oggi portare il concetto di resilienza nella catena del valore come una delle caratteristiche di base delle supply chain.

Marco Perona ha voluto porre l’attenzione su alcune caratteristiche che contribuiscono ad aumentare la resilienza delle supply chain e che sempre di più sono destinate a rappresentare un vantaggio competitivo.

Resilienza delle supply chain: gli effetti di un “ritorno” dall’offshoring al backshoring

Nell’ultimo decennio le aziende sono ricorse molto spesso all’offshoring cercando localizzazioni produttive remote per usufruire di vantaggi come il basso costo della manodopera, una tendenza votata all’efficienza del sistema, una serie di vantaggi legati ai costi. Ma questa scelta ha anche avuto ricadute meno positive sulla capacità del sistema di reagire in modo efficace alle crisi. E per questo è auspicabile tema un ritorno al backshoring. Un altro tema è quello della trasparenza della filiera: ovvero la capacità di avere piena visibilità attraverso la disponibilità di informazione complete e tempestive relativamente ai dati delle filiere, organizzazione dei prodotti, status dei macchinari ecc. Un terzo punto molto rilevante è da individuare nella ridondanza, ovvero nella presenza di alternative di prodotto e produzione, con la gestione di diversi fornitori e stabilimenti che sono in grado di realizzare gli stessi articoli. Quando viene meno una delle alternative abbiamo a disposizione le altre per garantire la continuità

In ultima analisi c’è un grande tema di flessibilità, da intendersi come la capacità di adattarsi in breve tempo e a costi ridotti a variazioni di volumi, di prodotti, di possibilità di scelta da parte di provider e clienti ecc.

La resilienza delle supply chain e il bilanciamento tra efficacia ed efficienza

La sfida della resilienza delel supply chain è da vedere anche nella ricerca di un nuovo bilanciamento ottimale tra efficacia ed efficienza. Perché oggi più che nel passato c’è la dimensione del rischio che deve essere considerata con la massima attenzione.

“La filosofia Lean negli ultimi decenni ha fatto ottenere alle imprese risultati straordinari consentendo il simultaneo miglioramento di efficienza ed efficacia, attraverso un ripensamento delle catene del valore. Purtroppo, il persistere di condizioni di incertezza richiederà alle imprese di rinunciare ad un po’ di questa competitività (concretamente, ad un po’ di margini), per considerare anche la gestione della dimensione del rischio, oggi più che mai impossibile da trascurare”, spiega Marco Perona, Professore ordinario di Logistica Industriale presso l’Università degli Studi di Brescia e Direttore Scientifico del Laboratorio RISE.

In tutto questo però un ruolo sempre più importante è svolto dal digitale. Abbiamo parlato di dati, come del nuovo petrolio, di smart and connected product, e molti di noi si sono confrontati con lo smart working, che per molti è stato solamente il lavoro da casa ma in realtà richiede un ridisegno complessivo delle organizzazioni, la distribuzione della responsabilità e processi remoti e automatici grazie ad analytics predittivi. Parliamo di dati: la gestione è complessa richiede di ragionare sul ciclo di vita, sulla generazione e sulla data collection, memorizzazione, di strutturare logiche per la trasformazione dei dati che devono diventare conoscenza e di lavorare sulla condivisione tra dipendenti, collaboratori, fornitori e partner di filiera. Alla base c’è un tema fondamentale, che è poi quello di uscire dalla logica che prevede di avere certi processi che sviluppano certi dati e che supportano certe decisioni. Dobbiamo passare ad una logica diversa che focalizza le decisioni necessarie e i dati che effettivamente servono per supportarle. Sulla base di questo criterio si devono ristrutturare i processi per arrivare ad avere esattamente i dati che servono.

Per molte organizzazioni il tema del risk management in una situazione di incertezza post Covid-può esser rappresentato metaforicamente come una sorta di “incendio che deve essere spento” e attiene alla necessità di disporre delle condizioni adeguate per gestire l’operatività in sicurezza. Ma certamente è chiaro che non basta focalizzarsi sul superamento della crisi e soprattutto occorre saper cogliere gli insegnamenti che arrivano da questa situazione eccezionale.

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